L’arte del buon cucinare da oggi in un codice
Milano, quasi 1500- Dopo aver allestito e curato la realizzazione dei banchetti offerti dalla Nobile famiglia Sforza, al culmine della carriera, Maestro Martino scrive il più grande trattato di cucina del tempo. Il Libro de Arte Coquinaria, in sessantacinque fogli non numerati e scritti in lingua volgare, racconta l’arte del cuoco estroso e modernizzatore. Uno dei principali elementi distintivi dei suoi piatti è il ritorno alle materie prime, evitando l’abuso di spezie, com’era d’abitudine pochi anni fa, quando le spezie, e la loro abbondanza, simboleggiavano la ricchezza del padrone di casa. Il ricettario non dà tempi e quantitativi: chi gestisce il team di sottocuochi, in grado di servire pranzi per centinaia di persone, ben li deve conoscere!
La tavola diventa un crocevia, il luogo dove si incontrano paesi lontani: maccheroni romaneschi, zuppe alla lombarda, luccio alla francese, berlingozzi alla senese, pasta tedesca, mariconda aragonese, torta d’erbe ferrarese e la salata zuppa inglese, riso e farro alla turchesca, minestra ongaresca e una curiosa “torta con diverse materie”, dai napoletani detta pizza.
Ma sentiamo una voce proveniente direttamente dalla cucina, quella di Madonna Alessia Uccellini della locanda “Il Fiorentino” nel borgo di Sansepolcro
Un incontro con i fiocchi: la maestra di cucina Alessia Uccellini racconta
Non si può ricostruire il sapore giusto o l’impasto esatto di un cibo tanto distante nel tempo, perché dal Perugino a noi sono passati 500 anni, ma è interessante capire come si siano evoluti i gusti e gli alimenti. L’aria che respiriamo oggi “PUZZA”, ovvero l’uso costante e massiccio del petrolio bruciato, ha trasformato i nostri canali recettori, il naso e la bocca non sentono più in modo pulito odori e gusti. Inoltre, ci sono alimenti che non potremo più assaggiare: l’uru, un bufalo originario del nord Europa, si è estinto, per cui non conosceremo mai il sapore della sua carne. Come d’altronde non mangiamo più orsi o pavoni, che invece si trovavano nelle tavole rinascimentali. Oggi abbiamo solo i frutti e le verdure selezionati dall’evoluzione, cioè quelli più resistenti ai parassiti e facili da produrre in grandi quantità. Si è anche perso un sapere importante: la conoscenza di erbe di campo, di bosco buone da mangiare è rara.
E’ difficile trovare codici di ricette scritte. L’archeologo culinario ricostruisce faticosamente una ricetta attraverso diversissimi reperti: ritrovamenti di maioliche, resti di cibi, tipi di pentole e pochi manoscritti
Le ricette, infatti, venivano tramandate per lo più oralmente. Il Bronzino, un pittore del 500, racconta, in una filastrocca la ricetta della panzanella:
Ma chi vuol trapassar sopra le stelle, di melodia, v’aggiunga olio e aceto, e’ntinga il pane e mangi a tira pelle…un’insalata di cipolla trita colla porcellanetta (portulaca) e citriuoli, vince ogni altro piacer di questa vita…considerate un po’ s’aggiungessi basilico e ruchetta, oh per averne, non è contratto che non si facessi.
Anche l’arte contribuisce a ricostruire le pietanze del passato. Ad esempio Le nozze di Cana del Veronese e l’Utima cena di Leonardo da Vinci sono un’altra fonte da cui ricavare i cibi mangiati nell’antichità. Nell’opera L’ultima cena, Leonardo documenta i tipi di cibo mangiati comunemente all’epoca di Gesù, sopra il tavolo ci sono anguille e arance, oltre al pane e al vino. Non a caso, i cristiani la sera del Venerdì Santo ancora mangiano il pesce.