V A Magione 2023-2024

LA PAURA DEL CONTAGIO NELL’ARTE E L’INVOCAZIONE DIVINA.

Deruta 1478 A causa della forte virulenza che la peste  crea, anche i maggiori pittori della nostra epoca danno risalto a questa malattia nelle loro opere artistiche, come il Maestro Pietro Vannucci, detto il Perugino, che  ha inserito questa terribile pandemia in uno dei suoi affreschi “Il gonfalone dei santi Romano e Rocco di Deruta” rinvenuto nella chiesa di san Francesco a Deruta. Nell’opera  i santi Romano e Rocco stanno in piedi guardando, rispettivamente, verso l’apparizione del Padre Eterno e verso lo spettatore. Dio rivolge la sua protezione divina verso il basso, dove si trova il paese di Deruta affinchè venga liberato da questa terribile malattia. All’interno dell’opera  l’osservatore viene colpito dal gesto di San Rocco che solleva un lembo della veste per mostrare la piaga sanguinante che ha sulla gamba provocata dalla peste. Anche in questa situazione così drammatica per Perugia e le zone limitrofe, il pittore, Pietro Vannucci, fa la sua parte e testimonia questo terribile momento storico che sta minacciando la vita umana e modificando le regole del vivere sociale. In una epidemia, di fronte alla realtà del vuoto che avvolge come una morsa l’uomo, Pietro Vannucci raffigura Dio che, rappresentando la creazione e lo sviluppo della vita, fa intravedere la speranza di una rinascita. È il caso di dire che, con il Divin Pittore, anche l’arte fa la sua parte e il dolore della malattia e della perdita  viene reso immortale dal tocco divino del suo pennello.

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Perugia prepara nuove zone rosse contro i focolai di peste.

Perugia 1475– A Perugia molte persone vengono colpite da febbre alta, mal di testa, dolori muscolari e articolari, nausea, vomito, sete, diarrea, brividi e sulla cute si manifestano dei bubboni. Questa strana malattia la chiamano peste nera o peste bubbonica e spesso non lascia scampo. Le autorità decidono la chiusura delle botteghe e di ogni altro luogo d’incontro, le direttive sono quelle di restare chiusi in casa. L’igiene è prioritaria: lavarsi il viso, le mani e la bocca con vino mescolato ad aceto, scorza di cedro e di limone. Le abitazioni devono essere pulite  e bisogna sanificare l’aria bruciando legni odoriferi e spargendo acque profumate. Si consiglia di bere mosti e di fare pasti leggeri e  di mangiare il coriandolo prima e dopo i pasti. Si raccomanda l’uso delle insalate con erbe contro il veleno come issopo, marrobbio, erbella, capperi, cicoria e cipolla. Si suggerisce di portare sopra i vestiti rose, viole e giacinti. E’ una vera e propria emergenza sanitaria! I dottori fanno di tutto per assistere i malati e per non lasciarli morire. Devono però proteggersi, quindi, indossano un cappotto ricoperto di cera profumata, una camicia ben infilata dentro un paio di pantaloni scuri. I pantaloni sono ben attaccati a degli stivali. Indossano anche guanti e un cappello. Per evitare la maggiore responsabile dell’infezione, l’aria cattiva, sopra la testa indossano una maschera e un cappuccio di pelle fissati al collo. Dal cappuccio sporge un becco ricurvo a forma di uccello che viene riempito da una miscela di cinquantacinque erbe , tra cui, cannella, mirra polvere di carne di vipera e miele. Hanno anche dei bastoni di legno, con cui visitano i pazienti infetti. Fa paura la peste a Perugia; le autorità stanno organizzando al massimo i servizi per ridurre il rischio di contagio e per evitare la morte di ulteriori persone.

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Arte o Scienza? Le Pulci cercano una risposta al dilemma

Perugia 18 ottobre 1462 – Con una lettera formale l’ultimo imperatore di Costantinopoli, Tommaso Paleològo, scampato alla morte, a causa dell’assalto dei Turchi, annuncia ai Grandi e Potentissimi Signori Priori di Perugia, il suo passaggio per i territori. La firma in rosso, privilegio riservato esclusivamente agli imperatori, posto come sigillo reale impone che la città venga preparata a festa e tutti gli onori  vengano riservati allo spodestato sovrano. Le strade dovranno essere liberate da ingombri e pulite con attenzione, molte saranno chiuse per permettere il transito del corteo imperiale. Dalle finestre dei palazzi, gli stendardi delle più alte corporazioni e delle più nobili famiglie, verranno esposti. Ognuno  con il massimo decoro che più gli si confà, dovrà accogliere festante e onorare con inchino l’Eminenza importantissima al suo passaggio. Perugia incontra l’ultimo imperatore e lo protegge in comunione con l’impegno prestato dall’Accademia nel preservare il sapere e le figure di politici, scienziati, religiosi, filosofi minacciate dal temutissimo e inarrestabile impero turco. ’Accademia salva i grandi Siena 1507 – Pinturicchio, dopo  due anni di  lavoro presso la Libreria Piccolomini, termina il monumentale lavoro di affresco delle pareti e del soffitto. Una particolarità desta l’attenzione dell’ammiratore che si trova innanzi a tanta bellezza: il pittore inserisce tra i personaggi famosi che hanno accompagnato il Papa Pio II al porto di Ancona, l’ultimo discendente dell’imperatore di Bisanzio, scampato alla strage che i turchi, invasori, gli avevano riservato. Dobbiamo ringraziare il Signore di Firenze, Cosimo I de’Medici per aver istituito l’Accademia con lo scopo di  accogliere e portare in salvo tutti quei personaggi, studiosi, uomini politici  e religiosi,  messi in pericolo dai Turchi che hanno invaso, senza pietà, Bisanzio e tutta la sua cultura. Senza la famiglia Medici il discendente dell’imperatore, Tommaso Paleologo non sarebbe sopravvissuto dall’attacco turco. Piace ricordare quanto l’Accademia fosse nel cuore del nostro compianto Signore, che ha fatto abilmente decorare dal Maestro di corte, il pittore Andrea Verrocchio e dai suoi talentuosi allievi, la villa di Careggi, sede proprio degli incontri di eruditissimi geni. https://youtu.be/LHFlVUQTJaw SIAMO TUTTI UN PO’… FILOLOGI!   Oggi è facile trovare un testo. Non solo nei libri, ma soprattutto sullo schermo del computer e del telefono. Vogliamo scoprire dov’era nato Maradona o leggere una poesia di Leopardi? Basta un clic e abbiamo subito tante alternative a nostra disposizione, come sugli scaffali di un supermercato. Però, esattamente come al supermercato, è importante prestare attenzione a cosa mettiamo nel nostro “carrello”. Per esempio, ci troviamo davanti tante merendine, tutte invitanti. Come scegliere? Prestando attenzione all’etichetta, per controllare che il dolce non sia scaduto, e che gli ingredienti siano sani. E questo vale anche per i testi: quando ne leggiamo uno, chiediamoci da dove viene, se il sito (o il libro) che lo riporta è attendibile, se le fonti sono dichiarate. C’è anche una scienza che si dedica ad accertare la genuinità dei testi, si chiama “filologia”. Ecco, quando ci documentiamo, da giornalisti o da semplici cittadini, cerchiamo di essere tutti un po’ “filologi”. Braccini Tommaso Prof. Filologia Classica UniSI In una società in continua evoluzione, dove si richiedono cambiamenti di stili di vita e approcci piùsostenibili, la creatività è essenziale per la nostra capacità di adattarci e risolvere determinateproblematiche. Essere creativi quindi oggi non significa solo “diventare artisti” ma anche essere ingrado di guardarsi intorno per capire come “creare” in modo più rispettoso verso gli altri, verso noistessi e verso l’ambiente che ci circonda. Potremmo dire che l’artista e il creativo in generale, chesia un designer, un grafico o uno stilista, possono decidere di sentire questa responsabilità. In questosenso l’Accademia diventa il luogo ideale per sviluppare una creatività sostenibile, soprattutto quiin Umbria, nel “cuore verde d’Italia” che ha dato i natali a San Francesco, il primo ecologista dellastoria. Per questo, proprio questo anno presso l’Accademia di Belle Arti Pietro Vannucci di Perugia,è nato un corso di progettazione sostenibile, il primo offerto da una Accademia di Belle Arti inItalia. L’obiettivo è fare dell’Accademia un luogo di sperimentazione e ricerca, dove la sensibilitàartistica si fonde a quella progettuale, dando vita a progetti responsabili e che sappiano dare rispostecreative alle esigenze del contemporaneo. Maddalena Vantaggi cattedra di Design – Accademia di Belle Arti Pietro Vannucci

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La morte di Adamo e l’Albero della Vita di Piero della Francesca

AREZZO 1460 – Un bellissimo affresco, firmato dal celebre pittore Piero della Francesca,  domina all’interno della Basilica di San Francesco ad Arezzo. Nell’ affresco il Maestro rappresenta la figura di Adamo e  la leggenda della nascita dell’olivo. Il dipinto racconta la storia di Adamo, cacciato per la sua disobbedienza dal Paradiso,  che, morente a 930 anni, aspetta l’OLIO DELLA MISERICORDIA. Narra infatti la leggenda che il figlio Seth, abbia ricevuto tre semi dall’ arcangelo Michele, da piantare alla morte del padre, da cui sono nati un cedro, un cipresso e un olivo. Il pittore toscano, dipingendo Seth che pianta in bocca di Adamo i tre semi,  rappresenta l’olivo come simbolo legato al perdono e alla redenzione. Portata in viaggio dal popolo di Israele, posta accanto ad una fonte, poiché era dono di Dio,  la pianta ha reso l’acqua MIRACOLOSA. Coloro che entravano nella piscina malati ne uscivano guariti.  Una volta seccato, il tronco,  è stato portato sul monte Calvario per diventare la croce di Gesù. https://youtu.be/YV2WAukmEtg

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Il Papa a tavola lungo le rive del Trasimeno

De gustibus… non disputandum est! Nessuno si permetta di giudicare i gusti degli altri, soprattutto quando si fa riferimento a quelli di personalità illustrissime. Pare, infatti, che l’Eminentissimo Pontefice, Clemente VII abbia un debole per il cibo povero proveniente dalle zone del lago Trasimeno. Si racconta di servitori a cavallo o su carri che percorrono strade dalle rive paludose del lago sino alla Sede papale, recanti seco sacchi di fagiolina e casse con pesci spinosi, le tinche. Pare strano avvicinare una così elegante e prestigiosa Autorità alla tavola di un qualunque villano. Si sa il villano è un uomo rozzo e povero. Mangia con le mani pane bigio, un impasto ottenuto da cereali minori, come il sorgo (buono per porci, buoi e cavalli) ed acqua, cotto sul “testo”, un disco di terracotta o ferro, messo a scaldare sulla brace, a cui aggiunge erbe colte sui campi, rape, zucche, cavoli e legumi. Ebbene sarebbero proprio i legumi, coltivati esclusivamente in questa zona, il punto debole del Pontefice. Clemente VII da quando lo ha assaggiato ne apprezza la bontà in zuppa, lo giudica migliore delle fave e ne diventa un importante divulgatore, regalandolo ad amici e parenti.     Ma un altro cibo proveniente dal lago spunta sulla tavola di Sua Eminenza: la tinca. I pesci, riportati di primo mattino dai pescatori. che nelle ore della notte lasciano i porti per andare “a bottà”, partono immediatamente per Roma. Qui vengono cotti nell’acqua in una pentola di terracotta con foglie di basilico e prezzemolo che danno sapore e grazia all’intingolo e al pesce cotto. Alle carni lessate si aggiunge pane bagnato nel brodo e un composto di aceto, noci, mandorle, foglie di alloro, pepe e garofano. Non è facile resistere alle tentazioni, neanche per un Papa! Intervista a un agricoltore Ciao, come ti chiami? Mi chiamo Fioroni Catia e fino a poco tempo fa ho coltivato la Fagiolina a Castiglione del Lago.   E’ vero che gli Etruschi sono stati il primo popolo a coltivare la Fagiolina? No. Le origini della Fagiolina del Trasimeno sono da ricercarsi in Africa da dove, attraverso gli scambi con la civiltà etrusca, ha raggiunto e si è diffusa in tutto il bacino del Lago Trasimeno trovando qui i terreni umidi, condizione ideale per l’ottenimento di un prodotto di qualità eccellente. Teofrasto, amico di Aristotele, ci rende noto che la specie era coltivata in Grecia nel 300 a.C. Nel primo secolo d.C. Plinio il Vecchio ci fa sapere che venne coltivata prima dagli Etruschi e poi dai Romani.   3) Che tipo di pianta è? La Fagiolina è una pianta che appartiene alla famiglia delle leguminose.   4) Quando viene seminata? La semina viene effettuata in primavera.   5) Quando viene raccolta? La lunga raccolta inizia a luglio e si protrae fino ai primi giorni di ottobre. A questo punto, i baccelli maturi raccolti, vengono fatti essiccare al sole e poi battuti. Infine, con i vagli si puliscono i semi che in seguito verranno confezionati.   6) Come viene utilizzata in cucina? La Fagiolina del lago Trasimeno di solito viene utilizzata come legume da mangiare fresco, oppure come seme secco.   7) Qual è il suo colore? Nell’area lacustre è stato possibile reperire varietà locali diverse per caratteristiche morfologiche ma identiche per caratteristiche genetiche. Si possono quindi trovare semi di vari colori, con differenti screziature. Al gusto, la Fagiolina del lago Trasimeno si distingue per una caratteristica delicatezza, tendente al dolce e le minuscole dimensioni la rendono particolarmente piacevole al palato.   8) Ci dici una curiosità sulla Fagiolina? La Fagiolina è stata coltivata fino al dopoguerra prevalentemente negli orti e ha rappresentato il principale apporto proteico all’alimentazione delle popolazioni locali. Considerata di fatto estinta, è stata recuperata grazie al paziente e assiduo lavoro di alcuni agricoltorI, all’intervento della Comunità montana “ Monti del Trasimeno” e del Comune di Castiglione del Lago. Dal 2000 la fagiolina del Trasimeno è riconosciuta come Presidio Slow Food ed i produttori si sono recentemente riuniti in Consorzio per la tutela del prodotto.

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Castello Bufalini si tinge di rosa

Innamorato sbadato dimentica i versi scritti per l’amata, indispensabile l’intervento della giovane armata delle quinte di Magione Diomede innamorato, preso nella ricerca della rima perfetta per conquistare il cuore della sua amata, stavolta l’ha combinata grossa! Distratto dalle opere, ricche di fiori e vegetali, il giovane della casata dei Bufalini, passeggiando per le sale del suo Castello, edificato a San Giustino, si è dimenticato il luogo nel quale ha nascosto la poesia per la gentil donzella che gli ha rubato il cuore. Vani tutti i tentativi di ricerca. La servitù ha buttato all’aria tappeti, spostato quadri e rovistato dentro enormi camini e vecchi cassoni, ma niente, del messaggio non vi è traccia. E poi…come a volte capita, succede qualcosa di inaspettato e, anche se non si sa bene come e perché, tutto si aggiusta. Il caso vuole, infatti, che una baldanzosa armata, formata da coraggiosi cavalieri e impavide donzelle, si sia trovata a passar proprio da quelle parti e, commossa per il disperato appello del giovane si sia adoperata per risolvere l’arcano. Armati di spirito di osservazione, intraprendenti intuizioni e ingegno assai brillante, i quarantacinque ragazzi si sono impegnati in una singolar contesa: una caccia al tesoro tra ARTEORTO. Le tracce lasciate, infatti, da Diomede hanno richiesto una lettura attenta delle opere esposte nelle stanze del Castello e degli affreschi che decorano i soffitti. Tra la rosa che spicca nello stemma del nobile casato, ghirlande di alloro, cespugli di gelsomini e improbabili insalate di verdure e frutti, ma anche draghi e strane creature volanti, correndo su e giù per le scale che conducono dalle cucine alle stanze padronali, alla fine lo scrigno è stato ritrovato. Saranno state sufficienti quelle dolci parole a conquistare il cuore della giovinetta? Questo, caro lettore non c’ è dato sapere, ma nel borgo si mormora di due giovani che, ogni sera al tramonto passeggiano mano nella mano per i giardini del Castello. Un ringraziamento speciale all’Azienda Aboca di Sansepolcro che ha in parte finanziato il progetto per le classi VA-VB della Scuola Primaria di Magione

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Un giardino in palazzo

LA PRIMAVERA DI SANDRO BOTTICELLI FIRENZE 1498 Nel Palazzo di via Larga a Firenze, è stato collocato un meraviglioso di dipinto attribuito al pittore Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi , detto Sandro Botticelli, amico di bottega di mastro Pietro Vannucci, in cui la natura, tanto cara al pittore e alla corte fiorentina, emerge in tutti i suoi aspetti. Il dipinto viene eseguito per Pierfrancesco dei Medici, cugino di secondo grado di Lorenzo il Magnifico che sta avviando Firenze a uno dei suoi più grandi periodi di splendore. Botticelli sembra essere molto legato alla cerchia medicea di cui rappresenta gli ideali di bellezza e armonia. Il capolavoro di Botticelli, La Primavera, ritrovato nel Palazzo di via Larga ,che lascia estasiato l’osservatore, colpisce per la straordinaria varietà di fiori e piante raffigurate. Nella penombra di un boschetto d’aranci e alloro le otto figure presenti nell’opera d’arte: Zefiro, Flora, Venere, Cupido, le Grazie e Mercurio sono immerse nel verde, su di un meraviglioso prato fiorito, in cui si contano tantissimi fiori disegnati minuziosamente. Si parla di circa 500 specie vegetali raffigurate. Con ogni probabilità, sulla scia dell’amico Leonardo da Vinci, Botticelli si è basato sull’osservazione diretta della flora nei dintorni di Firenze e dei numerosi erbari che circolano nei manoscritti. Fiori, frutti, piante ed erbe fanno di questo dipinto un capolavoro nel capolavoro. Tantissime le margherite, le rose, le viole. Scorgiamo anche l’elleboro, la viperina azzurra, la camomilla e la tossilaggine, garofani, fiori di fragola, fiordalisi e uno splendido iris, noto anche come giglio di Firenze, una pianta che cresce in modo spontaneo in questa meravigliosa città. Ma perché il pittore fiorentino esalta in questo dipinto la natura? Pochi sono i dubbi in merito… Botticelli è un cronista, anzi, meglio, un documentarista meticoloso della realtà che vede essere a lui contemporanea. Nella Firenze medicea i giardini diventano simboli della potenza della famiglia dei Medici ed è per questo che diventa di fondamentale importanza la loro progettazione iconografica. Pertanto, l’opera di Botticelli, si pone come fondamentale testimonianza delle dinamiche culturali fiorentine, con particolare riferimento al ruolo dei Medici, nella rinascita della città.

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La vita del Perugino a puntate: n.1

Ricostruzione “giocosa” della vita del Meglio Maestro d’Italia”, attraverso fonti più o meno autorevoli, immaginando i dialoghi di un’improbabile chat social Biografie e memoria Per rispondere alla domanda “chi sono?”, e quindi definirci come individui, dobbiamo ricorrere ad una narrazione: la narrazione della nostra storia, che si sviluppa nell’intreccio di relazioni umane, parole, immagini, gesti e attività che si creano intorno ad un ambiente, in un certo momento. Ogni cosa condiziona l’altra e ci rende attori e insieme spettatori nel teatro della vita. E a complicare il tutto, c’è la memoria collettiva: non siamo solo quello che siamo, ma siamo anche la percezione che gli altri hanno di noi. Il Perugino, garzone alla bottega del Verrocchio, di certo non sapeva quanta importanza avrebbe avuto nei secoli successivi, quanto il suo stile avrebbe condizionato i posteri. Proprio come Tutankhamon non si sarebbe mai immaginato di essere disturbato nel suo sonno eterno per entrare nella lista delle 10 scoperte archeologiche più importanti del mondo, o Cleopatra di essere ricordata non per le sue imprese da regina d’Egitto, ma per la spettacolare morte con il veleno di un serpente; o di Newton, del quale più che la teoria scientifica, si ricorda la scenetta della mela che cade dal ramo! Alle volte accade invece il contrario: nel tentativo di restare ben impresso nella mente dei posteri si compiono imprese sensazionali, e si dà fondo a tutto il proprio il patrimonio, e nonostante questo, le cose poi non vanno come nei piani: è il caso dell’imperatore Tito Flavio Vespasiano, che si stima avesse speso l’equivalente di 700 milioni di euro per finanziare l’Anfiteatro Flavio di Roma, che ahimè, finì per essere ben più noto come Colosseo (e beffa, vide invece il proprio nome associato ai bagni pubblici!). O di Napoleone, del quale più della memoria delle grandi battaglie resta quella della sua (poca) altezza e la sua posa buffa nei ritratti, con la mano a reggere le bretelle! Difficile dire che cosa lasceremo di noi, cosa di noi ricorderanno i futuri storici, giornalisti, ricercatori. Dunque resta solo una cosa da fare, quando decidiamo di fare qualcosa: sperare di farla bene! Serena Trippetti Dott.ssa Archeologa

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Open day alla bottega di Mastro Pietro Vannucci: la tecnica dello spolvero

Perugia- 1495. Mastro Pietro Vannucci, detto il Perugino, organizza un Open Day e apre la sua bottega agli aspiranti allievi mostrando loro la tecnica che predilige per realizzare i suoi affreschi: la tecnica dello spolvero. Il Maestro spiega che la tecnica, molto diffusa tra i maggiori artisti della nostra epoca, prevede la realizzazione di un disegno a grandezza naturale su un cartone. Terminato il disegno, il Maestro, mostra che per trasferirlo dal cartone alla superficie dove deve essere realizzato l’affresco, bisogna perforare con un chiodo le linee che compongono il disegno e appoggiare il cartone sull’intonaco fresco. Il passaggio successivo è quello di spolverare il cartone con un tampone intriso di finissima polvere di carbone o ocra rossa. In questo modo la polvere, passando attraverso i piccoli fori, lascia la traccia del disegno da seguire per la stesura del pennello. Pietro Vannucci genera un forte clamore tra i giovani talenti quando mostra il suo studio facendo notare i piccoli vasi di vetro contenenti le varie polveri di colore ricavati dallo sminuzzamento di lapislazzuli, cocciniglia e oro puro. Il maestro spiega che questi prodotti sono molto preziosi e costosi , il loro valore è di dieci Fiorini l’oncia, vale a dire che una minuscola presa di quella polvere può costare anche un fiorino intero. Di grande interesse risultano essere anche i pennelli che il pittore custodisce nella sua scuola d’arte; tutti realizzati con pelo di scoiattolo, di puzzola e di seta. L’incontro termina con la visita di un’altra stanza della bottega dove “l’ aiuto” del Perugino mostra come , con il tuorlo d’uovo, è possibile ripassare alcuni colori per dare maggiore luminosità ad una tela appena conclusa. https://www.youtube.com/watch?v=irfDqN00-vo

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