V B Magione 2023-2024

Victoria rientra al porto dopo aver fatto il giro del mondo

Intervista ad Antonio Pigafetta Siviglia – 7 settembre 1522. Due anni, undici mesi e diciassette giorni dopo la loro partenza, o oltre tre anni dopo, se si considera il problema iniziale che la spedizione ebbe alla foce del Guadalquivir, diciotto uomini hanno concluso  la prima circumnavigazione del globo. Tra loro c’è un nostro conterraneo: Antonio Pigafetta, che così registra nel suo Diario del viaggio: “ E alli 7 di setembre, con l’aiuto d’Iddio, entrarono nel porto di San Lucar, vicino a Siviglia, solamente 18 uomini, la maggior parte ammalati; il resto di 59 che partirono dalle Molucche, parte morirono di diverse malattie, e alcuni ancora furono decapitati nell’isola di Timor per lor delitti. E giunti in questo porto di S. Lucar, per il conto tenuto di giorno in giorno, aveano navigato da 14460 leghe, circundando il mondo dal levante in ponente.  ” Era il 10 agosto 1519 quando , dal porto fluviale di Siviglia, prese il via il viaggio delle cinque navi delle quali non è facile ricordare il nome, come avviene invece per le caravelle di Colombo. Trinidad, San Antonio, Concepción, Victoria e Santiago i loro nomi. Ma intervistiamo direttamente Antonio Pigafetta prima che parta di nuovo, questa volta a omaggiare per primo l’imperadore di Spagna, tanto fiducioso da permettere a Magellano l’impresa ardua. Insigne Cavaliere dell’Ordine di Rodi cosa porterà ai Magnifici regnanti? …”Non potrò appresentare oro o argento o pietre preziose … degne della grandezza di tanto principe, ma gli darò un libro scritto di mia mano, ove vi ho notate tutte le cose accadute di giorno in giorno in questo viaggio. Di lì poi mi recherò a Lisbona al serenissimo re di Portogallo, al qual dirò tutte le nuove delli suoi uomini, che avevan trovati sì nell’isole delle Molucche come in altre parti. Dapoi me ne irò in Francia, dove appresenterò alcuni doni delle cose portate di questo viaggio alla serenissima madama la regente, madre del potentissimo e cristianissimo re di Francia. Finalmente venuto in Italia, presenterò similmente questo suo libro al reverendissimo gran maestro di Rhodi messer Filippo Villiers Lisleadam,” Da quando ha scoperto la passione per i viaggi in mare? Fin da giovinetto ebbi un solo desiderio: quello di navigare. La nostra è l’epoca  delle grandi scoperte geografiche e i viaggi verso paesi sconosciuti attirano i più ardimentosi. Per giornate intere restavo chiuso nelle mie stanze a studiare carte geografiche, libri di navigazione, strumenti nautici e a progettare grandi spedizioni per mare di cui avrei voluto essere il capo. Naturalmente poi feci di tutto per appagare questo mio desiderio. “Cari genitori — dissi un giorno— io sento che il mio destino è sul mare. Le fatiche, il pericolo, le privazioni, le insidie dell’oceano non mi spaventano”. Di fronte a una decisione così risoluta I miei vecchi genitori non ebbero la forza di opporsi, fu così che, dopo alcuni preparativi, lasciai la mia  Vicenza. Come riuscì ad imbarcarsi con Magellano? L’occasione si presentò quando venni a sapere   che il navigatore portoghese Fernando Magellano aveva presentato al re Carlo V il progetto di un lungo viaggio per mare. Magellano avrebbe voluto raggiungere le isole Molucche navigando verso ponente e passando dall’Atlantico al Pacifico per mezzo di uno stretto di mare che era convinto dovesse esistere. Era giunta finalmente una buona occasione. Senza esitare, lasciai Barcellona e mi recai a Siviglia per conferire direttamente con Magellano, portavo con me una lettera di raccomandazione del Chiericati. Come andò l’incontro? Era una mattina di settembre quando mi presentai a Magellano. “Cavaliere — mi chiese Magellano — voi volete dividere con me i pericoli di un viaggio alle Molucche?” “ Con entusiasmo, capitano — risposi — e sono sicuro di condividere anche il successo dell’impresa a voi affidata”. L’accordo era così stipulato. Mi unii  alla sua spedizione  col grado di criado, cioè segretario addetto alla persona del comandante. Come era la vita a bordo? In quei tre duri anni di viaggio, mi sono ritrovato a bordo di navi vecchie e prive di ogni conforto, in climi insopportabili, tra atroci sofferenze provocate dalla fame e dalla sete. Ma per mia gran fortuna  fui l’unico uomo dell’equipaggio che non ebbe nemmeno una minima indisposizione. La peste, le malattie, le ferite purulente uccisero a decine i miei compagni, ma anche quando fui costretto a calmare la fame con cuoio rammollito, non lamentai neanche un minimo disturbo intestinale. Cosa ha scritto nell’ormai celebre Diario? Il diario contiene notizie sulla rotta del viaggio, resoconti delle ambascerie da me  fatte ai vari re dei luoghi in cui le navi approdavano, relazioni sui singolari costumi delle popolazioni indigene, osservazioni sulla flora e la fauna. Ho inserito anche un dizionarietto dei vocaboli di uso comune adoperati dagli indigeni delle Molucche, della Patagonia e delle Filippine. Perché è tanto importante il Diario? Il Diario documenta il viaggio del Capino Magellano. A volte io stesso lo rileggo per non dimenticarmi di tutte le meraviglie che ho avuto l’opportunità di  scoprire. Ho scritto di “..Come (si) partì l’armata del porto di Siviglia. E come si raccoglie l’acqua in una dell’isole Canarie. De’ pesci detti tiburoni… Del capo detto di Santa Maria, dove si trovano pietre preziose. Di lupi marini e sua descrizione. Degli uomini di quel paese, i quali hanno statura di giganti, e con che arte il capitano ne prese duoi. Del medicarsi quando hanno mal di stomaco, e quando li duole la testa, e quando muoiono….” ma non voglio togliervi il gusto di leggerlo, ho in mente già di far copie manoscritte. E così si allontana, tra la confusione del porto, un uomo stanco e assai provato nel corpo, ma con lo sguardo brillante e fiero di che sa di aver fatto la storia!

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Arte o Scienza? Le Pulci cercano una risposta al dilemma

Perugia 18 ottobre 1462 – Con una lettera formale l’ultimo imperatore di Costantinopoli, Tommaso Paleològo, scampato alla morte, a causa dell’assalto dei Turchi, annuncia ai Grandi e Potentissimi Signori Priori di Perugia, il suo passaggio per i territori. La firma in rosso, privilegio riservato esclusivamente agli imperatori, posto come sigillo reale impone che la città venga preparata a festa e tutti gli onori  vengano riservati allo spodestato sovrano. Le strade dovranno essere liberate da ingombri e pulite con attenzione, molte saranno chiuse per permettere il transito del corteo imperiale. Dalle finestre dei palazzi, gli stendardi delle più alte corporazioni e delle più nobili famiglie, verranno esposti. Ognuno  con il massimo decoro che più gli si confà, dovrà accogliere festante e onorare con inchino l’Eminenza importantissima al suo passaggio. Perugia incontra l’ultimo imperatore e lo protegge in comunione con l’impegno prestato dall’Accademia nel preservare il sapere e le figure di politici, scienziati, religiosi, filosofi minacciate dal temutissimo e inarrestabile impero turco. ’Accademia salva i grandi Siena 1507 – Pinturicchio, dopo  due anni di  lavoro presso la Libreria Piccolomini, termina il monumentale lavoro di affresco delle pareti e del soffitto. Una particolarità desta l’attenzione dell’ammiratore che si trova innanzi a tanta bellezza: il pittore inserisce tra i personaggi famosi che hanno accompagnato il Papa Pio II al porto di Ancona, l’ultimo discendente dell’imperatore di Bisanzio, scampato alla strage che i turchi, invasori, gli avevano riservato. Dobbiamo ringraziare il Signore di Firenze, Cosimo I de’Medici per aver istituito l’Accademia con lo scopo di  accogliere e portare in salvo tutti quei personaggi, studiosi, uomini politici  e religiosi,  messi in pericolo dai Turchi che hanno invaso, senza pietà, Bisanzio e tutta la sua cultura. Senza la famiglia Medici il discendente dell’imperatore, Tommaso Paleologo non sarebbe sopravvissuto dall’attacco turco. Piace ricordare quanto l’Accademia fosse nel cuore del nostro compianto Signore, che ha fatto abilmente decorare dal Maestro di corte, il pittore Andrea Verrocchio e dai suoi talentuosi allievi, la villa di Careggi, sede proprio degli incontri di eruditissimi geni. https://youtu.be/LHFlVUQTJaw SIAMO TUTTI UN PO’… FILOLOGI!   Oggi è facile trovare un testo. Non solo nei libri, ma soprattutto sullo schermo del computer e del telefono. Vogliamo scoprire dov’era nato Maradona o leggere una poesia di Leopardi? Basta un clic e abbiamo subito tante alternative a nostra disposizione, come sugli scaffali di un supermercato. Però, esattamente come al supermercato, è importante prestare attenzione a cosa mettiamo nel nostro “carrello”. Per esempio, ci troviamo davanti tante merendine, tutte invitanti. Come scegliere? Prestando attenzione all’etichetta, per controllare che il dolce non sia scaduto, e che gli ingredienti siano sani. E questo vale anche per i testi: quando ne leggiamo uno, chiediamoci da dove viene, se il sito (o il libro) che lo riporta è attendibile, se le fonti sono dichiarate. C’è anche una scienza che si dedica ad accertare la genuinità dei testi, si chiama “filologia”. Ecco, quando ci documentiamo, da giornalisti o da semplici cittadini, cerchiamo di essere tutti un po’ “filologi”. Braccini Tommaso Prof. Filologia Classica UniSI In una società in continua evoluzione, dove si richiedono cambiamenti di stili di vita e approcci piùsostenibili, la creatività è essenziale per la nostra capacità di adattarci e risolvere determinateproblematiche. Essere creativi quindi oggi non significa solo “diventare artisti” ma anche essere ingrado di guardarsi intorno per capire come “creare” in modo più rispettoso verso gli altri, verso noistessi e verso l’ambiente che ci circonda. Potremmo dire che l’artista e il creativo in generale, chesia un designer, un grafico o uno stilista, possono decidere di sentire questa responsabilità. In questosenso l’Accademia diventa il luogo ideale per sviluppare una creatività sostenibile, soprattutto quiin Umbria, nel “cuore verde d’Italia” che ha dato i natali a San Francesco, il primo ecologista dellastoria. Per questo, proprio questo anno presso l’Accademia di Belle Arti Pietro Vannucci di Perugia,è nato un corso di progettazione sostenibile, il primo offerto da una Accademia di Belle Arti inItalia. L’obiettivo è fare dell’Accademia un luogo di sperimentazione e ricerca, dove la sensibilitàartistica si fonde a quella progettuale, dando vita a progetti responsabili e che sappiano dare rispostecreative alle esigenze del contemporaneo. Maddalena Vantaggi cattedra di Design – Accademia di Belle Arti Pietro Vannucci

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La morte di Adamo e l’Albero della Vita di Piero della Francesca

AREZZO 1460 – Un bellissimo affresco, firmato dal celebre pittore Piero della Francesca,  domina all’interno della Basilica di San Francesco ad Arezzo. Nell’ affresco il Maestro rappresenta la figura di Adamo e  la leggenda della nascita dell’olivo. Il dipinto racconta la storia di Adamo, cacciato per la sua disobbedienza dal Paradiso,  che, morente a 930 anni, aspetta l’OLIO DELLA MISERICORDIA. Narra infatti la leggenda che il figlio Seth, abbia ricevuto tre semi dall’ arcangelo Michele, da piantare alla morte del padre, da cui sono nati un cedro, un cipresso e un olivo. Il pittore toscano, dipingendo Seth che pianta in bocca di Adamo i tre semi,  rappresenta l’olivo come simbolo legato al perdono e alla redenzione. Portata in viaggio dal popolo di Israele, posta accanto ad una fonte, poiché era dono di Dio,  la pianta ha reso l’acqua MIRACOLOSA. Coloro che entravano nella piscina malati ne uscivano guariti.  Una volta seccato, il tronco,  è stato portato sul monte Calvario per diventare la croce di Gesù. https://youtu.be/YV2WAukmEtg

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Il Papa a tavola lungo le rive del Trasimeno

De gustibus… non disputandum est! Nessuno si permetta di giudicare i gusti degli altri, soprattutto quando si fa riferimento a quelli di personalità illustrissime. Pare, infatti, che l’Eminentissimo Pontefice, Clemente VII abbia un debole per il cibo povero proveniente dalle zone del lago Trasimeno. Si racconta di servitori a cavallo o su carri che percorrono strade dalle rive paludose del lago sino alla Sede papale, recanti seco sacchi di fagiolina e casse con pesci spinosi, le tinche. Pare strano avvicinare una così elegante e prestigiosa Autorità alla tavola di un qualunque villano. Si sa il villano è un uomo rozzo e povero. Mangia con le mani pane bigio, un impasto ottenuto da cereali minori, come il sorgo (buono per porci, buoi e cavalli) ed acqua, cotto sul “testo”, un disco di terracotta o ferro, messo a scaldare sulla brace, a cui aggiunge erbe colte sui campi, rape, zucche, cavoli e legumi. Ebbene sarebbero proprio i legumi, coltivati esclusivamente in questa zona, il punto debole del Pontefice. Clemente VII da quando lo ha assaggiato ne apprezza la bontà in zuppa, lo giudica migliore delle fave e ne diventa un importante divulgatore, regalandolo ad amici e parenti.     Ma un altro cibo proveniente dal lago spunta sulla tavola di Sua Eminenza: la tinca. I pesci, riportati di primo mattino dai pescatori. che nelle ore della notte lasciano i porti per andare “a bottà”, partono immediatamente per Roma. Qui vengono cotti nell’acqua in una pentola di terracotta con foglie di basilico e prezzemolo che danno sapore e grazia all’intingolo e al pesce cotto. Alle carni lessate si aggiunge pane bagnato nel brodo e un composto di aceto, noci, mandorle, foglie di alloro, pepe e garofano. Non è facile resistere alle tentazioni, neanche per un Papa! Intervista a un agricoltore Ciao, come ti chiami? Mi chiamo Fioroni Catia e fino a poco tempo fa ho coltivato la Fagiolina a Castiglione del Lago.   E’ vero che gli Etruschi sono stati il primo popolo a coltivare la Fagiolina? No. Le origini della Fagiolina del Trasimeno sono da ricercarsi in Africa da dove, attraverso gli scambi con la civiltà etrusca, ha raggiunto e si è diffusa in tutto il bacino del Lago Trasimeno trovando qui i terreni umidi, condizione ideale per l’ottenimento di un prodotto di qualità eccellente. Teofrasto, amico di Aristotele, ci rende noto che la specie era coltivata in Grecia nel 300 a.C. Nel primo secolo d.C. Plinio il Vecchio ci fa sapere che venne coltivata prima dagli Etruschi e poi dai Romani.   3) Che tipo di pianta è? La Fagiolina è una pianta che appartiene alla famiglia delle leguminose.   4) Quando viene seminata? La semina viene effettuata in primavera.   5) Quando viene raccolta? La lunga raccolta inizia a luglio e si protrae fino ai primi giorni di ottobre. A questo punto, i baccelli maturi raccolti, vengono fatti essiccare al sole e poi battuti. Infine, con i vagli si puliscono i semi che in seguito verranno confezionati.   6) Come viene utilizzata in cucina? La Fagiolina del lago Trasimeno di solito viene utilizzata come legume da mangiare fresco, oppure come seme secco.   7) Qual è il suo colore? Nell’area lacustre è stato possibile reperire varietà locali diverse per caratteristiche morfologiche ma identiche per caratteristiche genetiche. Si possono quindi trovare semi di vari colori, con differenti screziature. Al gusto, la Fagiolina del lago Trasimeno si distingue per una caratteristica delicatezza, tendente al dolce e le minuscole dimensioni la rendono particolarmente piacevole al palato.   8) Ci dici una curiosità sulla Fagiolina? La Fagiolina è stata coltivata fino al dopoguerra prevalentemente negli orti e ha rappresentato il principale apporto proteico all’alimentazione delle popolazioni locali. Considerata di fatto estinta, è stata recuperata grazie al paziente e assiduo lavoro di alcuni agricoltorI, all’intervento della Comunità montana “ Monti del Trasimeno” e del Comune di Castiglione del Lago. Dal 2000 la fagiolina del Trasimeno è riconosciuta come Presidio Slow Food ed i produttori si sono recentemente riuniti in Consorzio per la tutela del prodotto.

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Castello Bufalini si tinge di rosa

Innamorato sbadato dimentica i versi scritti per l’amata, indispensabile l’intervento della giovane armata delle quinte di Magione Diomede innamorato, preso nella ricerca della rima perfetta per conquistare il cuore della sua amata, stavolta l’ha combinata grossa! Distratto dalle opere, ricche di fiori e vegetali, il giovane della casata dei Bufalini, passeggiando per le sale del suo Castello, edificato a San Giustino, si è dimenticato il luogo nel quale ha nascosto la poesia per la gentil donzella che gli ha rubato il cuore. Vani tutti i tentativi di ricerca. La servitù ha buttato all’aria tappeti, spostato quadri e rovistato dentro enormi camini e vecchi cassoni, ma niente, del messaggio non vi è traccia. E poi…come a volte capita, succede qualcosa di inaspettato e, anche se non si sa bene come e perché, tutto si aggiusta. Il caso vuole, infatti, che una baldanzosa armata, formata da coraggiosi cavalieri e impavide donzelle, si sia trovata a passar proprio da quelle parti e, commossa per il disperato appello del giovane si sia adoperata per risolvere l’arcano. Armati di spirito di osservazione, intraprendenti intuizioni e ingegno assai brillante, i quarantacinque ragazzi si sono impegnati in una singolar contesa: una caccia al tesoro tra ARTEORTO. Le tracce lasciate, infatti, da Diomede hanno richiesto una lettura attenta delle opere esposte nelle stanze del Castello e degli affreschi che decorano i soffitti. Tra la rosa che spicca nello stemma del nobile casato, ghirlande di alloro, cespugli di gelsomini e improbabili insalate di verdure e frutti, ma anche draghi e strane creature volanti, correndo su e giù per le scale che conducono dalle cucine alle stanze padronali, alla fine lo scrigno è stato ritrovato. Saranno state sufficienti quelle dolci parole a conquistare il cuore della giovinetta? Questo, caro lettore non c’ è dato sapere, ma nel borgo si mormora di due giovani che, ogni sera al tramonto passeggiano mano nella mano per i giardini del Castello. Un ringraziamento speciale all’Azienda Aboca di Sansepolcro che ha in parte finanziato il progetto per le classi VA-VB della Scuola Primaria di Magione

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Verona, giovani avvelenati d’amore

Verona 1511 – Da giorni ormai, una triste storia viene narrata in ogni dove, agli angoli delle vie più importanti, come anche nelle strade che dalle porte principali delle città conducono a sperdute cascine tra campagne sterminate o piccoli borghi arroccati su troneggianti colli, fino ai sontuosi palazzi, residenze di nobili e illustri famiglie. E’ la storia di due giovani che, durante il ballo in maschera per festeggiare il carnevale, nella bella Verona, la sera dell’11 febbraio, si sono perdutamente innamorarti. Ma il destino ha deciso di metterci lo zampino… la famiglie, sebbene imparentate tra loro, sono in disputa e hanno fatto di tutto per separarli, riuscendoci. Dalle liete e spensierate danze alla separazione dei due il passo è breve. Come pure quello che conduce il giovane Luigi ad una tragica morte in battaglia e la bella Lucina di Sarvognana, alle imposte nozze con un nobile. Ma domandiamo ad un testimone, presente ai fatti, l’arciere Peregrino, fidato servitore di Luigi da Porto. Messere avete assistito ai fatti, corrispondono al vero? “Porto meco un documento, prova della veridicità degli eventi, il codice trascritto direttamente dal protagonista della storia. Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti con la pietosa loro morte intervenuta già nella città di Verona nel tempo del signor Bartolomeo della Scala Cosa potete dirci sul triste amore dei due protagonisti? “ Cupido ha scoccato una freccia durante il ballo. Ricordo bene, il giorno dopo, la tristezza nel volto del mio Signore, al rifiuto dello zio di lei alla richiesta delle nozze. Tanto che mi sono permesso di dar lui consiglio: “Volete voi sempre in trista vita vivere, perché bella crudele, altrimenti mostrando, poco vi ami?” Qual è il giudizio vostro riguardo ad una tal tragedia? “ Traggo una visione nefasta della donna, che, a mio parer, ancor prima che l’amato abbia esalato l’ultimo respiro, era già in cerca di marito. Mi domando quante oggi sarebbero così fedeli al proprio innamorato da seguirlo nella morte?” Al fidato Peregrino vorremmo spoilerare che verrà un tempo in cui, un famoso scrittore d’oltre Manica, ispirato da queste vicende, narrerà la storia di Romeo e Giulietta, che entrambi preferiranno la morte al viver separati. Per sfuggire alle famiglie, grazie al saggio speziale Romeo beve una pozione e cade in un sonno ingannatore. Giulietta, che per scherzo del destino non sa dell’artificio, vedendolo nel letto di morte, si pugnala. Il giovane risvegliatosi, comprende l’inevitabile e si toglie la vita con lo stesso veleno che prometteva prima la salvezza per entrambi. Guarda lo short su youtube Ma chi sarà mai questo speziale? Tra scienza e magia, il potere degli speziali Romeo compra dallo speziale di Mantova “un grammo di veleno, ma che sia roba sbrigativa, da stender morto appena si diffonde nelle vene”. Roba forte. Varchiamo la soglia della sua bottega, dove sull’architrave si legge (ancora!) “Pharmacopoeorum Collegii”. Tra alambicchi e distillatori, l’attento speziale realizza preparati con arsenico, cianuro, cicuta, aconite e belladonna. Il più potente è l’aconite, una pianta da cui si estrae il pericoloso principio attivo. Non si conosce tuttora l’antidoto. La belladonna, dal nome suadente e ingannevole, rimane il più utilizzato. Nell’antica Roma come ai tempi nostri veniva usato dalle donne per rendere più colorito il viso e più dilatate le pupille. Nomen omen insomma. La differenza stava tutta nel dosaggio. Poche gocce per rilassarsi, di più per morire.

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Cuochi si nasce o si diventa

L’arte del buon cucinare da oggi in un codice Milano, quasi 1500- Dopo aver allestito e curato la realizzazione dei banchetti offerti dalla Nobile famiglia Sforza, al culmine della carriera, Maestro Martino scrive il più grande trattato di cucina del tempo. Il Libro de Arte Coquinaria, in sessantacinque fogli non numerati e scritti in lingua volgare, racconta l’arte del cuoco estroso e modernizzatore. Uno dei principali elementi distintivi dei suoi piatti è il ritorno alle materie prime, evitando l’abuso di spezie, com’era d’abitudine pochi anni fa, quando le spezie, e la loro abbondanza, simboleggiavano la ricchezza del padrone di casa. Il ricettario non dà tempi e quantitativi: chi gestisce il team di sottocuochi, in grado di servire pranzi per centinaia di persone, ben li deve conoscere! La tavola diventa un crocevia, il luogo dove si incontrano paesi lontani: maccheroni romaneschi, zuppe alla lombarda, luccio alla francese, berlingozzi alla senese, pasta tedesca, mariconda aragonese, torta d’erbe ferrarese e la salata zuppa inglese, riso e farro alla turchesca, minestra ongaresca e una curiosa “torta con diverse materie”, dai napoletani detta pizza. Ma sentiamo una voce proveniente direttamente dalla cucina, quella di Madonna Alessia Uccellini della locanda “Il Fiorentino” nel borgo di Sansepolcro Camina e magna come un perugino Un incontro con i fiocchi: la maestra di cucina Alessia Uccellini racconta Non si può ricostruire il sapore giusto o l’impasto esatto di un cibo tanto distante nel tempo, perché dal Perugino a noi sono passati 500 anni, ma è interessante capire come si siano evoluti i gusti e gli alimenti. L’aria che respiriamo oggi “PUZZA”, ovvero l’uso costante e massiccio del petrolio bruciato, ha trasformato i nostri canali recettori, il naso e la bocca non sentono più in modo pulito odori e gusti. Inoltre, ci sono alimenti che non potremo più assaggiare: l’uru, un bufalo originario del nord Europa, si è estinto, per cui non conosceremo mai il sapore della sua carne. Come d’altronde non mangiamo più orsi o pavoni, che invece si trovavano nelle tavole rinascimentali. Oggi abbiamo solo i frutti e le verdure selezionati dall’evoluzione, cioè quelli più resistenti ai parassiti e facili da produrre in grandi quantità. Si è anche perso un sapere importante: la conoscenza di erbe di campo, di bosco buone da mangiare è rara. E’ difficile trovare codici di ricette scritte. L’archeologo culinario ricostruisce faticosamente una ricetta attraverso diversissimi reperti: ritrovamenti di maioliche, resti di cibi, tipi di pentole e pochi manoscritti Le ricette, infatti, venivano tramandate per lo più oralmente. Il Bronzino, un pittore del 500, racconta, in una filastrocca la ricetta della panzanella: Ma chi vuol trapassar sopra le stelle, di melodia, v’aggiunga olio e aceto, e’ntinga il pane e mangi a tira pelle…un’insalata di cipolla trita colla porcellanetta (portulaca) e citriuoli, vince ogni altro piacer di questa vita…considerate un po’ s’aggiungessi basilico e ruchetta, oh per averne, non è contratto che non si facessi. Anche l’arte contribuisce a ricostruire le pietanze del passato. Ad esempio Le nozze di Cana del Veronese e l’Utima cena di Leonardo da Vinci sono un’altra fonte da cui ricavare i cibi mangiati nell’antichità. Nell’opera L’ultima cena, Leonardo documenta i tipi di cibo mangiati comunemente all’epoca di Gesù, sopra il tavolo ci sono anguille e arance, oltre al pane e al vino. Non a caso, i cristiani la sera del Venerdì Santo ancora mangiano il pesce.

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La vita del Perugino a puntate: n.1

Ricostruzione “giocosa” della vita del Meglio Maestro d’Italia”, attraverso fonti più o meno autorevoli, immaginando i dialoghi di un’improbabile chat social Biografie e memoria Per rispondere alla domanda “chi sono?”, e quindi definirci come individui, dobbiamo ricorrere ad una narrazione: la narrazione della nostra storia, che si sviluppa nell’intreccio di relazioni umane, parole, immagini, gesti e attività che si creano intorno ad un ambiente, in un certo momento. Ogni cosa condiziona l’altra e ci rende attori e insieme spettatori nel teatro della vita. E a complicare il tutto, c’è la memoria collettiva: non siamo solo quello che siamo, ma siamo anche la percezione che gli altri hanno di noi. Il Perugino, garzone alla bottega del Verrocchio, di certo non sapeva quanta importanza avrebbe avuto nei secoli successivi, quanto il suo stile avrebbe condizionato i posteri. Proprio come Tutankhamon non si sarebbe mai immaginato di essere disturbato nel suo sonno eterno per entrare nella lista delle 10 scoperte archeologiche più importanti del mondo, o Cleopatra di essere ricordata non per le sue imprese da regina d’Egitto, ma per la spettacolare morte con il veleno di un serpente; o di Newton, del quale più che la teoria scientifica, si ricorda la scenetta della mela che cade dal ramo! Alle volte accade invece il contrario: nel tentativo di restare ben impresso nella mente dei posteri si compiono imprese sensazionali, e si dà fondo a tutto il proprio il patrimonio, e nonostante questo, le cose poi non vanno come nei piani: è il caso dell’imperatore Tito Flavio Vespasiano, che si stima avesse speso l’equivalente di 700 milioni di euro per finanziare l’Anfiteatro Flavio di Roma, che ahimè, finì per essere ben più noto come Colosseo (e beffa, vide invece il proprio nome associato ai bagni pubblici!). O di Napoleone, del quale più della memoria delle grandi battaglie resta quella della sua (poca) altezza e la sua posa buffa nei ritratti, con la mano a reggere le bretelle! Difficile dire che cosa lasceremo di noi, cosa di noi ricorderanno i futuri storici, giornalisti, ricercatori. Dunque resta solo una cosa da fare, quando decidiamo di fare qualcosa: sperare di farla bene! Serena Trippetti Dott.ssa Archeologa

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