Cosa bolle in pentola?

“Tremate, tremate,… le streghe son tornate!”

In difesa delle streghe Ovunque, da anni ormai si sente parlare di  “caccia alle streghe”. Vengono  messe al bando donne già con i nomi con cui vengono apostrofate: fattucchiere, maliarde, incantatrici, e rispetto all’età (avanzata) megere e befane. Ce le immaginiamo con lunghi e scarmigliati capelli rossi, un neo vistoso sul viso pallido, in compagnia di un gatto nero, che solo a vederlo attraversare, vien voglia di cambiare strada. Queste donne, per lo più anziane e sole, sono veramente cattive? Fanno del male? Gli autori dell’articolo vogliono sottolineare in questa sede, solo ciò che di inconfutabile si conosce di loro. Eh sì, perché tra chi dice di vederle volare a cavallo di una scopa e chi invece galleggiare nelle acque alte di un fiume o di un lago, con mani e piedi legati, si corre il rischio di bruciare innocenti colpevoli solo di apparire diverse per quello che sanno.  Di loro si sa che conoscono bene le piante officinali e preparano misture e unguenti per curare qualsiasi genere di malattia. Rimedio per i malati delle campagne che non possono permettersi di accedere alla medicina ufficiale. C’è da domandarsi se ciò che non conosciamo provochi tanta di quella paura da far allontanare quei pochi che percorrono prima degli altri piccoli o grandi passi avanti. Che paura avete, mica andranno sulla Luna!? Che ne sarebbe poi delle fiabe senza la magia, vera o presunta, delle streghe? Scendono in campo i nuovi “Apprendisti Stregoni” Tra  alambicchi, mortai  e distillatori gli apprendisti di “Strega” Barbara preparano impiastri e unguenti dai magici poteri. Rigorosamente vestiti con camici bianchi, attenti alla goccia alle indicazioni della Maestra strega  di Laboratorio Barbara, i nuovi “apprendisti stregoni” hanno realizzato, nella bottega di Aboca, unguenti e impiastri capaci di preservare e curare la pelle. “I principi attivi usati -spiega Barbara- del tutto naturali, sono emulsionanti e idratanti e hanno un’azione antinfiammatoria” Le più attente sono da subito sembrate le maestre, attratte dall’idea di poter  ridurre qualche “zampa di gallina”. Un pizzico di estratto di aloe, qualche gocciolina di essenza profumata, ognuno con il suo pentolino ha realizzato un rimedio efficace quanto utile: un burro di cacao all’essenza di limone e una crema idratante da corpo al gusto di lavanda. Un dono speciale da riportare a casa, perché realizzato con le proprie mani.

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Dimmi cosa mangi… e ti dirò chi sei!

Ormai è chiaro a tutti, Signori o servitori: nessuno ha più alcun dubbio! E’ a  tavola che si mostra agli altri quanto si vale, o meglio, di quanto si dispone. Dal cibo che viene offerto ai commensali  è facile capire a quale lignaggio appartenga una casata. Non per nulla, durante  i banchetti si sfoggiano pietanze, ricette e anche ingredienti che non solo fanno conoscere gusti esotici ricercati e nuovi, ma che   nascondono un  segreto:  il potere del padrone del Palazzo. E must have, ultima tendenza dei banchetti, dagli Sforza ai Medici, dai Gonzaga agli Este, fino anche ai Pontefici, è avere un “consulente gastronomico delle feste” capace di portare già con il solo suo  nome, stupore, meraviglia e, perché no,  un pizzico di invidia.  L’accoglienza diventa un’arte vera e propria. Pittori e uomini d’arte dettano una nuova moda basata sull’ordine e la geometria e sull’uso di raffinate ceramiche, di lavorati vetri, di preziose “posaterie” e lucerne.  Le pietanze, che richiedono elaborate preparazioni, fortemente speziate e spesso dolcificate,  vengono presentate rispettando i criteri della raffinatezza e dell’eleganza: con il cibo sono a fianco di “chef” negli eventi mondani più esclusivi . Ed è  proprio  su questa linea, secondo cui l’apparire diventa un’arma politica per manifestare potere e reclamare onore, che,   per ricevere il nuovo dominatore Carlo VIII di Valois e il suo esercito, Pietro de’Medici conferisce il  prestigioso incarico a Pietro Vannucci. Il maestro non delude. Realizza nella sua bottega, grazie anche agli allievi,  decori trionfali , ornati di foglie e fiori, li fa disporre per tutta la città. Si deve stupire  e far di Firenze una città che,  superba, si mostra magnifica anche quando  abbassa il capo davanti al nuovo re.

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Il mirabile mondo delle api… al tempo del Perugino

Gentili creature, le api, donano al mondo il più dolce dei cibi, oro potabile: il miele! Da tempo immemore le api si operano per il nostro pianeta, laboriose e pacifiche, svolgono diversi mestieri di inestimabile valore per ognuno di noi. Per celebrarne il fascino e il ruolo importantissimo che da sempre ricoprono, nel 1626 il principe Federico Cesi (fondatore dell’Accademia dei Lincei) pubblicò l’Apiarium, “la prima monografia entomologica che sia stata composta dopo l’invenzione o modificazione galileiana del microscopio”[1]. L’arrivo a Palazzo Cesi dell’“occhialino” – così veniva chiamato il rivoluzionario strumento per l’osservazione della natura – generosamente donato da Galileo Galilei negli ultimi anni del XVI secolo, rivoluzionò lo studio dei piccoli insetti, svelando, per la prima volta nella storia, le più microscopiche meraviglie. Gli alunni della IIIA di Magione si sono recati a Palazzo Cesi (Acquasparta, TR) per entrare completamente nel mondo delle api, grazie all’incredibile sala immersiva, e per compiere un sorprendente tuffo nel passato indossando abiti rinascimentali. I dialoghi proposti sono stati elaborati partendo dalla lettura dell’Apiarium. Buona visione!     [1] G. Gabrieli, Il carteggio linceo, op. cit. ,p. 1003 Un ringraziamento speciale ai genitori degli alunni della III A di Magione e alle associazioni che ci hanno permesso di vivere questa indimenticabile esperienza: Associazione Meleiros che ci ha portati alla scoperta delle api, del loro fondamentale ruolo nel mondo e del buonissimo miele. Associazione Acqua che ci ha aperto le porte di Palazzo Cesi facendoci conoscere questo luogo ricco di storia e bellezza. Ente Rinascimento di Acquasparta che ci ha lasciato indossare i suoi abiti storici consentendoci di saltare nel passato e immaginare di essere, per un giorno, damigelle e cavalieri rinascimentali. https://youtu.be/sEQUiUmrL4k

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La grande festa di Natale della famiglia Baglioni

La grande festa della vigilia di Natale presso la sontuosa abitazione  Baglioni è pronta per iniziare. Gli ospiti saranno coccolati con prelibate prelibatezze e degustazioni di vini pregiati. Un paradiso terrestre per i buongustai! Ma non si tratta solo di cibo, la festa  sarà anche una dimostrazione di potere e ricchezza, una vera e propria passerella per mostrare il proprio status sociale. Il menù è un sogno ad occhi aperti ed è  formato da una collezione di piatti principali. Tra le scelte più gettonate, gli ospiti troveranno  le prelibatezze di carne, come il pollo alla cacciatora, il maiale arrosto o la selvaggina in umido. Ma l’esperienza non finisce qui! A tavola si potrà ammirare  anche una ricca varietà di frutta, verdure, pane, formaggio e vino. Un vero e proprio tripudio di sapori! Un intero team di professionisti è pronto ad entrare in azione per rendere la festa  unica. Il maître d’hotel o il maggiordomo, il boss dell’organizzazione, con l’occhio di lince per l’allestimento della tavola e la scelta del menù. Il coppiere, il mago del vino, che sceglierà i vini migliori e li servirà con stile. Poi ci sarà il cuoco capo, l’artista del cibo che creerà piatti spettacolari. Il panettiere , il creatore di pane e torte che saranno una vera delizia per il palato. E ovviamente, ci saranno i servitori, che con un sorriso sulle labbra, serviranno il cibo e le bevande e puliranno tra un piatto e l’altro. Ma non finisce qui, ci saranno anche intrattenitori di ogni tipo: musicisti, giullari, ballerini e acrobati che divertiranno gli ospiti e renderanno la festa ancora più indimenticabile! Non solo il palato, ma anche gli occhi e le orecchie  godranno un’esperienza gustosa a casa Baglioni. La festa sarà un  vero e proprio spettacolo teatrale, con performance mozzafiato che faranno  sentire gli invitati  in una favola. Mentre gusteranno piatti deliziosi, gli ospiti potranno ammirare anche  le creazioni artistiche degli artisti locali. La festa promette di essere un evento davvero memorabile, pieno di divertimento ed allegria. I Baglioni, padroni di casa esperti, sapranno come far sentire i loro invitati parte di una grande comunità, condividendo con loro momenti di felicità e di gioia in un ‘atmosfera magica e coinvolgente, che lascerà un ricordo indelebile in tutti coloro che parteciperanno.

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Il Papa a tavola lungo le rive del Trasimeno

De gustibus… non disputandum est! Nessuno si permetta di giudicare i gusti degli altri, soprattutto quando si fa riferimento a quelli di personalità illustrissime. Pare, infatti, che l’Eminentissimo Pontefice, Clemente VII abbia un debole per il cibo povero proveniente dalle zone del lago Trasimeno. Si racconta di servitori a cavallo o su carri che percorrono strade dalle rive paludose del lago sino alla Sede papale, recanti seco sacchi di fagiolina e casse con pesci spinosi, le tinche. Pare strano avvicinare una così elegante e prestigiosa Autorità alla tavola di un qualunque villano. Si sa il villano è un uomo rozzo e povero. Mangia con le mani pane bigio, un impasto ottenuto da cereali minori, come il sorgo (buono per porci, buoi e cavalli) ed acqua, cotto sul “testo”, un disco di terracotta o ferro, messo a scaldare sulla brace, a cui aggiunge erbe colte sui campi, rape, zucche, cavoli e legumi. Ebbene sarebbero proprio i legumi, coltivati esclusivamente in questa zona, il punto debole del Pontefice. Clemente VII da quando lo ha assaggiato ne apprezza la bontà in zuppa, lo giudica migliore delle fave e ne diventa un importante divulgatore, regalandolo ad amici e parenti.     Ma un altro cibo proveniente dal lago spunta sulla tavola di Sua Eminenza: la tinca. I pesci, riportati di primo mattino dai pescatori. che nelle ore della notte lasciano i porti per andare “a bottà”, partono immediatamente per Roma. Qui vengono cotti nell’acqua in una pentola di terracotta con foglie di basilico e prezzemolo che danno sapore e grazia all’intingolo e al pesce cotto. Alle carni lessate si aggiunge pane bagnato nel brodo e un composto di aceto, noci, mandorle, foglie di alloro, pepe e garofano. Non è facile resistere alle tentazioni, neanche per un Papa! Intervista a un agricoltore Ciao, come ti chiami? Mi chiamo Fioroni Catia e fino a poco tempo fa ho coltivato la Fagiolina a Castiglione del Lago.   E’ vero che gli Etruschi sono stati il primo popolo a coltivare la Fagiolina? No. Le origini della Fagiolina del Trasimeno sono da ricercarsi in Africa da dove, attraverso gli scambi con la civiltà etrusca, ha raggiunto e si è diffusa in tutto il bacino del Lago Trasimeno trovando qui i terreni umidi, condizione ideale per l’ottenimento di un prodotto di qualità eccellente. Teofrasto, amico di Aristotele, ci rende noto che la specie era coltivata in Grecia nel 300 a.C. Nel primo secolo d.C. Plinio il Vecchio ci fa sapere che venne coltivata prima dagli Etruschi e poi dai Romani.   3) Che tipo di pianta è? La Fagiolina è una pianta che appartiene alla famiglia delle leguminose.   4) Quando viene seminata? La semina viene effettuata in primavera.   5) Quando viene raccolta? La lunga raccolta inizia a luglio e si protrae fino ai primi giorni di ottobre. A questo punto, i baccelli maturi raccolti, vengono fatti essiccare al sole e poi battuti. Infine, con i vagli si puliscono i semi che in seguito verranno confezionati.   6) Come viene utilizzata in cucina? La Fagiolina del lago Trasimeno di solito viene utilizzata come legume da mangiare fresco, oppure come seme secco.   7) Qual è il suo colore? Nell’area lacustre è stato possibile reperire varietà locali diverse per caratteristiche morfologiche ma identiche per caratteristiche genetiche. Si possono quindi trovare semi di vari colori, con differenti screziature. Al gusto, la Fagiolina del lago Trasimeno si distingue per una caratteristica delicatezza, tendente al dolce e le minuscole dimensioni la rendono particolarmente piacevole al palato.   8) Ci dici una curiosità sulla Fagiolina? La Fagiolina è stata coltivata fino al dopoguerra prevalentemente negli orti e ha rappresentato il principale apporto proteico all’alimentazione delle popolazioni locali. Considerata di fatto estinta, è stata recuperata grazie al paziente e assiduo lavoro di alcuni agricoltorI, all’intervento della Comunità montana “ Monti del Trasimeno” e del Comune di Castiglione del Lago. Dal 2000 la fagiolina del Trasimeno è riconosciuta come Presidio Slow Food ed i produttori si sono recentemente riuniti in Consorzio per la tutela del prodotto.

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Cuochi si nasce o si diventa

L’arte del buon cucinare da oggi in un codice Milano, quasi 1500- Dopo aver allestito e curato la realizzazione dei banchetti offerti dalla Nobile famiglia Sforza, al culmine della carriera, Maestro Martino scrive il più grande trattato di cucina del tempo. Il Libro de Arte Coquinaria, in sessantacinque fogli non numerati e scritti in lingua volgare, racconta l’arte del cuoco estroso e modernizzatore. Uno dei principali elementi distintivi dei suoi piatti è il ritorno alle materie prime, evitando l’abuso di spezie, com’era d’abitudine pochi anni fa, quando le spezie, e la loro abbondanza, simboleggiavano la ricchezza del padrone di casa. Il ricettario non dà tempi e quantitativi: chi gestisce il team di sottocuochi, in grado di servire pranzi per centinaia di persone, ben li deve conoscere! La tavola diventa un crocevia, il luogo dove si incontrano paesi lontani: maccheroni romaneschi, zuppe alla lombarda, luccio alla francese, berlingozzi alla senese, pasta tedesca, mariconda aragonese, torta d’erbe ferrarese e la salata zuppa inglese, riso e farro alla turchesca, minestra ongaresca e una curiosa “torta con diverse materie”, dai napoletani detta pizza. Ma sentiamo una voce proveniente direttamente dalla cucina, quella di Madonna Alessia Uccellini della locanda “Il Fiorentino” nel borgo di Sansepolcro Camina e magna come un perugino Un incontro con i fiocchi: la maestra di cucina Alessia Uccellini racconta Non si può ricostruire il sapore giusto o l’impasto esatto di un cibo tanto distante nel tempo, perché dal Perugino a noi sono passati 500 anni, ma è interessante capire come si siano evoluti i gusti e gli alimenti. L’aria che respiriamo oggi “PUZZA”, ovvero l’uso costante e massiccio del petrolio bruciato, ha trasformato i nostri canali recettori, il naso e la bocca non sentono più in modo pulito odori e gusti. Inoltre, ci sono alimenti che non potremo più assaggiare: l’uru, un bufalo originario del nord Europa, si è estinto, per cui non conosceremo mai il sapore della sua carne. Come d’altronde non mangiamo più orsi o pavoni, che invece si trovavano nelle tavole rinascimentali. Oggi abbiamo solo i frutti e le verdure selezionati dall’evoluzione, cioè quelli più resistenti ai parassiti e facili da produrre in grandi quantità. Si è anche perso un sapere importante: la conoscenza di erbe di campo, di bosco buone da mangiare è rara. E’ difficile trovare codici di ricette scritte. L’archeologo culinario ricostruisce faticosamente una ricetta attraverso diversissimi reperti: ritrovamenti di maioliche, resti di cibi, tipi di pentole e pochi manoscritti Le ricette, infatti, venivano tramandate per lo più oralmente. Il Bronzino, un pittore del 500, racconta, in una filastrocca la ricetta della panzanella: Ma chi vuol trapassar sopra le stelle, di melodia, v’aggiunga olio e aceto, e’ntinga il pane e mangi a tira pelle…un’insalata di cipolla trita colla porcellanetta (portulaca) e citriuoli, vince ogni altro piacer di questa vita…considerate un po’ s’aggiungessi basilico e ruchetta, oh per averne, non è contratto che non si facessi. Anche l’arte contribuisce a ricostruire le pietanze del passato. Ad esempio Le nozze di Cana del Veronese e l’Utima cena di Leonardo da Vinci sono un’altra fonte da cui ricavare i cibi mangiati nell’antichità. Nell’opera L’ultima cena, Leonardo documenta i tipi di cibo mangiati comunemente all’epoca di Gesù, sopra il tavolo ci sono anguille e arance, oltre al pane e al vino. Non a caso, i cristiani la sera del Venerdì Santo ancora mangiano il pesce.

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