Perugino: LE ORIGINI

Victoria rientra al porto dopo aver fatto il giro del mondo

Intervista ad Antonio Pigafetta Siviglia – 7 settembre 1522. Due anni, undici mesi e diciassette giorni dopo la loro partenza, o oltre tre anni dopo, se si considera il problema iniziale che la spedizione ebbe alla foce del Guadalquivir, diciotto uomini hanno concluso  la prima circumnavigazione del globo. Tra loro c’è un nostro conterraneo: Antonio Pigafetta, che così registra nel suo Diario del viaggio: “ E alli 7 di setembre, con l’aiuto d’Iddio, entrarono nel porto di San Lucar, vicino a Siviglia, solamente 18 uomini, la maggior parte ammalati; il resto di 59 che partirono dalle Molucche, parte morirono di diverse malattie, e alcuni ancora furono decapitati nell’isola di Timor per lor delitti. E giunti in questo porto di S. Lucar, per il conto tenuto di giorno in giorno, aveano navigato da 14460 leghe, circundando il mondo dal levante in ponente.  ” Era il 10 agosto 1519 quando , dal porto fluviale di Siviglia, prese il via il viaggio delle cinque navi delle quali non è facile ricordare il nome, come avviene invece per le caravelle di Colombo. Trinidad, San Antonio, Concepción, Victoria e Santiago i loro nomi. Ma intervistiamo direttamente Antonio Pigafetta prima che parta di nuovo, questa volta a omaggiare per primo l’imperadore di Spagna, tanto fiducioso da permettere a Magellano l’impresa ardua. Insigne Cavaliere dell’Ordine di Rodi cosa porterà ai Magnifici regnanti? …”Non potrò appresentare oro o argento o pietre preziose … degne della grandezza di tanto principe, ma gli darò un libro scritto di mia mano, ove vi ho notate tutte le cose accadute di giorno in giorno in questo viaggio. Di lì poi mi recherò a Lisbona al serenissimo re di Portogallo, al qual dirò tutte le nuove delli suoi uomini, che avevan trovati sì nell’isole delle Molucche come in altre parti. Dapoi me ne irò in Francia, dove appresenterò alcuni doni delle cose portate di questo viaggio alla serenissima madama la regente, madre del potentissimo e cristianissimo re di Francia. Finalmente venuto in Italia, presenterò similmente questo suo libro al reverendissimo gran maestro di Rhodi messer Filippo Villiers Lisleadam,” Da quando ha scoperto la passione per i viaggi in mare? Fin da giovinetto ebbi un solo desiderio: quello di navigare. La nostra è l’epoca  delle grandi scoperte geografiche e i viaggi verso paesi sconosciuti attirano i più ardimentosi. Per giornate intere restavo chiuso nelle mie stanze a studiare carte geografiche, libri di navigazione, strumenti nautici e a progettare grandi spedizioni per mare di cui avrei voluto essere il capo. Naturalmente poi feci di tutto per appagare questo mio desiderio. “Cari genitori — dissi un giorno— io sento che il mio destino è sul mare. Le fatiche, il pericolo, le privazioni, le insidie dell’oceano non mi spaventano”. Di fronte a una decisione così risoluta I miei vecchi genitori non ebbero la forza di opporsi, fu così che, dopo alcuni preparativi, lasciai la mia  Vicenza. Come riuscì ad imbarcarsi con Magellano? L’occasione si presentò quando venni a sapere   che il navigatore portoghese Fernando Magellano aveva presentato al re Carlo V il progetto di un lungo viaggio per mare. Magellano avrebbe voluto raggiungere le isole Molucche navigando verso ponente e passando dall’Atlantico al Pacifico per mezzo di uno stretto di mare che era convinto dovesse esistere. Era giunta finalmente una buona occasione. Senza esitare, lasciai Barcellona e mi recai a Siviglia per conferire direttamente con Magellano, portavo con me una lettera di raccomandazione del Chiericati. Come andò l’incontro? Era una mattina di settembre quando mi presentai a Magellano. “Cavaliere — mi chiese Magellano — voi volete dividere con me i pericoli di un viaggio alle Molucche?” “ Con entusiasmo, capitano — risposi — e sono sicuro di condividere anche il successo dell’impresa a voi affidata”. L’accordo era così stipulato. Mi unii  alla sua spedizione  col grado di criado, cioè segretario addetto alla persona del comandante. Come era la vita a bordo? In quei tre duri anni di viaggio, mi sono ritrovato a bordo di navi vecchie e prive di ogni conforto, in climi insopportabili, tra atroci sofferenze provocate dalla fame e dalla sete. Ma per mia gran fortuna  fui l’unico uomo dell’equipaggio che non ebbe nemmeno una minima indisposizione. La peste, le malattie, le ferite purulente uccisero a decine i miei compagni, ma anche quando fui costretto a calmare la fame con cuoio rammollito, non lamentai neanche un minimo disturbo intestinale. Cosa ha scritto nell’ormai celebre Diario? Il diario contiene notizie sulla rotta del viaggio, resoconti delle ambascerie da me  fatte ai vari re dei luoghi in cui le navi approdavano, relazioni sui singolari costumi delle popolazioni indigene, osservazioni sulla flora e la fauna. Ho inserito anche un dizionarietto dei vocaboli di uso comune adoperati dagli indigeni delle Molucche, della Patagonia e delle Filippine. Perché è tanto importante il Diario? Il Diario documenta il viaggio del Capino Magellano. A volte io stesso lo rileggo per non dimenticarmi di tutte le meraviglie che ho avuto l’opportunità di  scoprire. Ho scritto di “..Come (si) partì l’armata del porto di Siviglia. E come si raccoglie l’acqua in una dell’isole Canarie. De’ pesci detti tiburoni… Del capo detto di Santa Maria, dove si trovano pietre preziose. Di lupi marini e sua descrizione. Degli uomini di quel paese, i quali hanno statura di giganti, e con che arte il capitano ne prese duoi. Del medicarsi quando hanno mal di stomaco, e quando li duole la testa, e quando muoiono….” ma non voglio togliervi il gusto di leggerlo, ho in mente già di far copie manoscritte. E così si allontana, tra la confusione del porto, un uomo stanco e assai provato nel corpo, ma con lo sguardo brillante e fiero di che sa di aver fatto la storia!

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LA PAURA DEL CONTAGIO NELL’ARTE E L’INVOCAZIONE DIVINA.

Deruta 1478 A causa della forte virulenza che la peste  crea, anche i maggiori pittori della nostra epoca danno risalto a questa malattia nelle loro opere artistiche, come il Maestro Pietro Vannucci, detto il Perugino, che  ha inserito questa terribile pandemia in uno dei suoi affreschi “Il gonfalone dei santi Romano e Rocco di Deruta” rinvenuto nella chiesa di san Francesco a Deruta. Nell’opera  i santi Romano e Rocco stanno in piedi guardando, rispettivamente, verso l’apparizione del Padre Eterno e verso lo spettatore. Dio rivolge la sua protezione divina verso il basso, dove si trova il paese di Deruta affinchè venga liberato da questa terribile malattia. All’interno dell’opera  l’osservatore viene colpito dal gesto di San Rocco che solleva un lembo della veste per mostrare la piaga sanguinante che ha sulla gamba provocata dalla peste. Anche in questa situazione così drammatica per Perugia e le zone limitrofe, il pittore, Pietro Vannucci, fa la sua parte e testimonia questo terribile momento storico che sta minacciando la vita umana e modificando le regole del vivere sociale. In una epidemia, di fronte alla realtà del vuoto che avvolge come una morsa l’uomo, Pietro Vannucci raffigura Dio che, rappresentando la creazione e lo sviluppo della vita, fa intravedere la speranza di una rinascita. È il caso di dire che, con il Divin Pittore, anche l’arte fa la sua parte e il dolore della malattia e della perdita  viene reso immortale dal tocco divino del suo pennello.

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Perugia prepara nuove zone rosse contro i focolai di peste.

Perugia 1475– A Perugia molte persone vengono colpite da febbre alta, mal di testa, dolori muscolari e articolari, nausea, vomito, sete, diarrea, brividi e sulla cute si manifestano dei bubboni. Questa strana malattia la chiamano peste nera o peste bubbonica e spesso non lascia scampo. Le autorità decidono la chiusura delle botteghe e di ogni altro luogo d’incontro, le direttive sono quelle di restare chiusi in casa. L’igiene è prioritaria: lavarsi il viso, le mani e la bocca con vino mescolato ad aceto, scorza di cedro e di limone. Le abitazioni devono essere pulite  e bisogna sanificare l’aria bruciando legni odoriferi e spargendo acque profumate. Si consiglia di bere mosti e di fare pasti leggeri e  di mangiare il coriandolo prima e dopo i pasti. Si raccomanda l’uso delle insalate con erbe contro il veleno come issopo, marrobbio, erbella, capperi, cicoria e cipolla. Si suggerisce di portare sopra i vestiti rose, viole e giacinti. E’ una vera e propria emergenza sanitaria! I dottori fanno di tutto per assistere i malati e per non lasciarli morire. Devono però proteggersi, quindi, indossano un cappotto ricoperto di cera profumata, una camicia ben infilata dentro un paio di pantaloni scuri. I pantaloni sono ben attaccati a degli stivali. Indossano anche guanti e un cappello. Per evitare la maggiore responsabile dell’infezione, l’aria cattiva, sopra la testa indossano una maschera e un cappuccio di pelle fissati al collo. Dal cappuccio sporge un becco ricurvo a forma di uccello che viene riempito da una miscela di cinquantacinque erbe , tra cui, cannella, mirra polvere di carne di vipera e miele. Hanno anche dei bastoni di legno, con cui visitano i pazienti infetti. Fa paura la peste a Perugia; le autorità stanno organizzando al massimo i servizi per ridurre il rischio di contagio e per evitare la morte di ulteriori persone.

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A cena con il Perugino

Cenare accanto a Pietro Vannucci detto il Perugino?   Può essere ammaliante, piacevole e alquanto sorprendente. È quello che è accaduto ieri sera, nella splendida sala dei ricevimenti di casa Vannucci. Ospiti illustri, nonché amici del Perugino, si sono ritrovati intorno ad un tavolo per conoscere le regole del Galateo. Il Cardinale Giovanni Lopez, accompagnato da due frati minori, insieme a Lorenzo Di Credi e Filippino Lippi, tra buon cibo e vino abboccato, hanno sperimentato il “ Bon Ton” a tavola. Alla serata erano presenti dame e consorti che, indossando abiti sontuosi, versavano con garbo e naturalezza il pregiato vino ai commensali, adoperandosi, pure, a non parlare con la bocca piena, atto questo assai difficile, data la voglia di spettegolare.

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Nozze al veleno? Lo strano caso del cassone da viaggio.

In un boschetto nelle vicinanze di Perugia, è stato rinvenuto un piccolo cassone nuziale. Il ritrovamento è stato fatto dal pastore Bartolomeo mentre portava al pascolo il suo gregge. A chi sarà appartenuto il prezioso scrigno? Perché sarà stato abbandonato lì? Come sappiamo, nel cassone nuziale veniva riposta la dote della sposa. Secondo la tradizione, durante il corteo nuziale, erano i servitori a trasportare i cassoni alla nuova casa della sposa dove venivano aperti affinché gli invitati potessero vederne e giudicarne il contenuto. Ovviamente, più la famiglia della sposa era ricca e importante, più i cassoni erano decorati, intagliati, dorati e dipinti. I legni usati erano il ciliegio, il pioppo o il noce. All’interno si utilizzava tessuto o il cuoio per foderarli. Le decorazioni esterne, invece, erano a carattere profano, con soggetti mitologici o storici, scene d’amore … Bartolomeo sostiene che, a colpo d’occhio, la sposa non apparteneva ad una famiglia nobile dato che il cassone ritrovato era di cuoio con semplici decori floreali blu. Questo dettaglio riferito da Bartolomeo fa pensare al simbolo della casata dei De Giangis, mercanti originari della zona di Camerino. In effetti una giovane fanciulla di questa casata, Dama Beatrice, era stata promessa in sposa al figlio di un noto mercante di Monte Sperello. Questo potrebbe risolvere il mistero sull’appartenenza del piccolo bauletto. All’interno vi erano custoditi alcuni gioielli, abiti, stoffe preziose, biancheria per la casa, profumi orientali e numerose ampolle. Bartolomeo racconta che l’oggetto che maggiormente ha stuzzicato la sua curiosità è stata una piccola ampolla contenente il letale veleno della zona noto come “Acquetta Perugina”1 . Molto probabilmente, il cassone era stato abbandonato e nascosto da alcuni briganti che avevano assaltato la carrozza della dama perché si sentivano braccati. Il pastore ha consegnato la refurtiva alle autorità che indagheranno sulla vicenda. Le domande a cui dovranno rispondere gli organi competenti, in seguito al misterioso ritrovamento sono: che fine ha fatto Dama Beatrice? Perché non ha denunciato lei stessa il furto del prezioso scrigno? Ma soprattutto, cosa ci faceva una giovane Dama, in procinto di maritarsi, del letale veleno? I lettori dovranno attendere il termine delle indagini per avere risposte a questi molteplici e interessanti interrogativi. 1 Acquetta perugina, veleno inodore, insapore, incolore ed atrocemente letale. Alcuni ipotizzano fosse un cocktail di acqua, arsenico, piombo, antimonio e spremitura di bacche di belladonna.

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Arte o Scienza? Le Pulci cercano una risposta al dilemma

Perugia 18 ottobre 1462 – Con una lettera formale l’ultimo imperatore di Costantinopoli, Tommaso Paleològo, scampato alla morte, a causa dell’assalto dei Turchi, annuncia ai Grandi e Potentissimi Signori Priori di Perugia, il suo passaggio per i territori. La firma in rosso, privilegio riservato esclusivamente agli imperatori, posto come sigillo reale impone che la città venga preparata a festa e tutti gli onori  vengano riservati allo spodestato sovrano. Le strade dovranno essere liberate da ingombri e pulite con attenzione, molte saranno chiuse per permettere il transito del corteo imperiale. Dalle finestre dei palazzi, gli stendardi delle più alte corporazioni e delle più nobili famiglie, verranno esposti. Ognuno  con il massimo decoro che più gli si confà, dovrà accogliere festante e onorare con inchino l’Eminenza importantissima al suo passaggio. Perugia incontra l’ultimo imperatore e lo protegge in comunione con l’impegno prestato dall’Accademia nel preservare il sapere e le figure di politici, scienziati, religiosi, filosofi minacciate dal temutissimo e inarrestabile impero turco. ’Accademia salva i grandi Siena 1507 – Pinturicchio, dopo  due anni di  lavoro presso la Libreria Piccolomini, termina il monumentale lavoro di affresco delle pareti e del soffitto. Una particolarità desta l’attenzione dell’ammiratore che si trova innanzi a tanta bellezza: il pittore inserisce tra i personaggi famosi che hanno accompagnato il Papa Pio II al porto di Ancona, l’ultimo discendente dell’imperatore di Bisanzio, scampato alla strage che i turchi, invasori, gli avevano riservato. Dobbiamo ringraziare il Signore di Firenze, Cosimo I de’Medici per aver istituito l’Accademia con lo scopo di  accogliere e portare in salvo tutti quei personaggi, studiosi, uomini politici  e religiosi,  messi in pericolo dai Turchi che hanno invaso, senza pietà, Bisanzio e tutta la sua cultura. Senza la famiglia Medici il discendente dell’imperatore, Tommaso Paleologo non sarebbe sopravvissuto dall’attacco turco. Piace ricordare quanto l’Accademia fosse nel cuore del nostro compianto Signore, che ha fatto abilmente decorare dal Maestro di corte, il pittore Andrea Verrocchio e dai suoi talentuosi allievi, la villa di Careggi, sede proprio degli incontri di eruditissimi geni. https://youtu.be/LHFlVUQTJaw SIAMO TUTTI UN PO’… FILOLOGI!   Oggi è facile trovare un testo. Non solo nei libri, ma soprattutto sullo schermo del computer e del telefono. Vogliamo scoprire dov’era nato Maradona o leggere una poesia di Leopardi? Basta un clic e abbiamo subito tante alternative a nostra disposizione, come sugli scaffali di un supermercato. Però, esattamente come al supermercato, è importante prestare attenzione a cosa mettiamo nel nostro “carrello”. Per esempio, ci troviamo davanti tante merendine, tutte invitanti. Come scegliere? Prestando attenzione all’etichetta, per controllare che il dolce non sia scaduto, e che gli ingredienti siano sani. E questo vale anche per i testi: quando ne leggiamo uno, chiediamoci da dove viene, se il sito (o il libro) che lo riporta è attendibile, se le fonti sono dichiarate. C’è anche una scienza che si dedica ad accertare la genuinità dei testi, si chiama “filologia”. Ecco, quando ci documentiamo, da giornalisti o da semplici cittadini, cerchiamo di essere tutti un po’ “filologi”. Braccini Tommaso Prof. Filologia Classica UniSI In una società in continua evoluzione, dove si richiedono cambiamenti di stili di vita e approcci piùsostenibili, la creatività è essenziale per la nostra capacità di adattarci e risolvere determinateproblematiche. Essere creativi quindi oggi non significa solo “diventare artisti” ma anche essere ingrado di guardarsi intorno per capire come “creare” in modo più rispettoso verso gli altri, verso noistessi e verso l’ambiente che ci circonda. Potremmo dire che l’artista e il creativo in generale, chesia un designer, un grafico o uno stilista, possono decidere di sentire questa responsabilità. In questosenso l’Accademia diventa il luogo ideale per sviluppare una creatività sostenibile, soprattutto quiin Umbria, nel “cuore verde d’Italia” che ha dato i natali a San Francesco, il primo ecologista dellastoria. Per questo, proprio questo anno presso l’Accademia di Belle Arti Pietro Vannucci di Perugia,è nato un corso di progettazione sostenibile, il primo offerto da una Accademia di Belle Arti inItalia. L’obiettivo è fare dell’Accademia un luogo di sperimentazione e ricerca, dove la sensibilitàartistica si fonde a quella progettuale, dando vita a progetti responsabili e che sappiano dare rispostecreative alle esigenze del contemporaneo. Maddalena Vantaggi cattedra di Design – Accademia di Belle Arti Pietro Vannucci

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Crisi al mulino: rischio aumento del prezzo della farina e tensioni sociali.

Si è da poco conclusa la violenta “Guerra del sale” e di nuovo il malcontento dilaga tra la popolazione perugina. Una nuova crisi si affaccia all’orizzonte, al mulino del signor Dante il grano scarseggia, ma quale sarà il motivo ? Secondo alcuni tutto è iniziato con la “febbre felina” che ha sterminato quasi tutti i gatti, tra i quali quello del mugnaio. A seguito di ciò sembra esserci stata un’invasione di topi che giustificherebbe l’aumento del prezzo della farina. Il rischio reale è che possano verificarsi speculazioni prendendo come scusa l’assalto dei topi. –La colpa non è mia! – dichiara il signor Dante – quei maledetti topastri si sono introdotti al mulino di notte, quando non potevo controllare ed hanno approfittato del malessere del mio povero gatto. Sono stato costretto ad aumentare il prezzo della farina, perché il grano è poco e la richiesta è tanta…– continua Dante. – Se continuiamo così … moriremo tutti di fame! – interviene il contadino Teobaldo – Come faremo a sfamare i nostri figli? – dice Bernardo il ciabattino. Il timore è quello di una reazione a catena che alimenterebbe le tensioni sociali, una vera e propria emergenza che, ovviamente, finirebbe per travolgere tutta la città e le zone limitrofe. Le autorità competenti svolgeranno un’indagine approfondita per verificare se i topi sono entrati realmente o è stata una truffa escogitata dal mugnaio Dante.

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La morte di Adamo e l’Albero della Vita di Piero della Francesca

AREZZO 1460 – Un bellissimo affresco, firmato dal celebre pittore Piero della Francesca,  domina all’interno della Basilica di San Francesco ad Arezzo. Nell’ affresco il Maestro rappresenta la figura di Adamo e  la leggenda della nascita dell’olivo. Il dipinto racconta la storia di Adamo, cacciato per la sua disobbedienza dal Paradiso,  che, morente a 930 anni, aspetta l’OLIO DELLA MISERICORDIA. Narra infatti la leggenda che il figlio Seth, abbia ricevuto tre semi dall’ arcangelo Michele, da piantare alla morte del padre, da cui sono nati un cedro, un cipresso e un olivo. Il pittore toscano, dipingendo Seth che pianta in bocca di Adamo i tre semi,  rappresenta l’olivo come simbolo legato al perdono e alla redenzione. Portata in viaggio dal popolo di Israele, posta accanto ad una fonte, poiché era dono di Dio,  la pianta ha reso l’acqua MIRACOLOSA. Coloro che entravano nella piscina malati ne uscivano guariti.  Una volta seccato, il tronco,  è stato portato sul monte Calvario per diventare la croce di Gesù. https://youtu.be/YV2WAukmEtg

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Il Papa a tavola lungo le rive del Trasimeno

De gustibus… non disputandum est! Nessuno si permetta di giudicare i gusti degli altri, soprattutto quando si fa riferimento a quelli di personalità illustrissime. Pare, infatti, che l’Eminentissimo Pontefice, Clemente VII abbia un debole per il cibo povero proveniente dalle zone del lago Trasimeno. Si racconta di servitori a cavallo o su carri che percorrono strade dalle rive paludose del lago sino alla Sede papale, recanti seco sacchi di fagiolina e casse con pesci spinosi, le tinche. Pare strano avvicinare una così elegante e prestigiosa Autorità alla tavola di un qualunque villano. Si sa il villano è un uomo rozzo e povero. Mangia con le mani pane bigio, un impasto ottenuto da cereali minori, come il sorgo (buono per porci, buoi e cavalli) ed acqua, cotto sul “testo”, un disco di terracotta o ferro, messo a scaldare sulla brace, a cui aggiunge erbe colte sui campi, rape, zucche, cavoli e legumi. Ebbene sarebbero proprio i legumi, coltivati esclusivamente in questa zona, il punto debole del Pontefice. Clemente VII da quando lo ha assaggiato ne apprezza la bontà in zuppa, lo giudica migliore delle fave e ne diventa un importante divulgatore, regalandolo ad amici e parenti.     Ma un altro cibo proveniente dal lago spunta sulla tavola di Sua Eminenza: la tinca. I pesci, riportati di primo mattino dai pescatori. che nelle ore della notte lasciano i porti per andare “a bottà”, partono immediatamente per Roma. Qui vengono cotti nell’acqua in una pentola di terracotta con foglie di basilico e prezzemolo che danno sapore e grazia all’intingolo e al pesce cotto. Alle carni lessate si aggiunge pane bagnato nel brodo e un composto di aceto, noci, mandorle, foglie di alloro, pepe e garofano. Non è facile resistere alle tentazioni, neanche per un Papa! Intervista a un agricoltore Ciao, come ti chiami? Mi chiamo Fioroni Catia e fino a poco tempo fa ho coltivato la Fagiolina a Castiglione del Lago.   E’ vero che gli Etruschi sono stati il primo popolo a coltivare la Fagiolina? No. Le origini della Fagiolina del Trasimeno sono da ricercarsi in Africa da dove, attraverso gli scambi con la civiltà etrusca, ha raggiunto e si è diffusa in tutto il bacino del Lago Trasimeno trovando qui i terreni umidi, condizione ideale per l’ottenimento di un prodotto di qualità eccellente. Teofrasto, amico di Aristotele, ci rende noto che la specie era coltivata in Grecia nel 300 a.C. Nel primo secolo d.C. Plinio il Vecchio ci fa sapere che venne coltivata prima dagli Etruschi e poi dai Romani.   3) Che tipo di pianta è? La Fagiolina è una pianta che appartiene alla famiglia delle leguminose.   4) Quando viene seminata? La semina viene effettuata in primavera.   5) Quando viene raccolta? La lunga raccolta inizia a luglio e si protrae fino ai primi giorni di ottobre. A questo punto, i baccelli maturi raccolti, vengono fatti essiccare al sole e poi battuti. Infine, con i vagli si puliscono i semi che in seguito verranno confezionati.   6) Come viene utilizzata in cucina? La Fagiolina del lago Trasimeno di solito viene utilizzata come legume da mangiare fresco, oppure come seme secco.   7) Qual è il suo colore? Nell’area lacustre è stato possibile reperire varietà locali diverse per caratteristiche morfologiche ma identiche per caratteristiche genetiche. Si possono quindi trovare semi di vari colori, con differenti screziature. Al gusto, la Fagiolina del lago Trasimeno si distingue per una caratteristica delicatezza, tendente al dolce e le minuscole dimensioni la rendono particolarmente piacevole al palato.   8) Ci dici una curiosità sulla Fagiolina? La Fagiolina è stata coltivata fino al dopoguerra prevalentemente negli orti e ha rappresentato il principale apporto proteico all’alimentazione delle popolazioni locali. Considerata di fatto estinta, è stata recuperata grazie al paziente e assiduo lavoro di alcuni agricoltorI, all’intervento della Comunità montana “ Monti del Trasimeno” e del Comune di Castiglione del Lago. Dal 2000 la fagiolina del Trasimeno è riconosciuta come Presidio Slow Food ed i produttori si sono recentemente riuniti in Consorzio per la tutela del prodotto.

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